Curare gli ulivi secolari con 3 metodi moderni e antichi

apr 16, 2015

Come promesso nel precedente articolo, continuiamo a dire qualcosa in merito alla Xylella e al piano di eradicazione degli ulivi secolari infetti. Il fenomeno iniziò con l'ammalarsi di alcuni esemplari nel 2013, con conseguenze non solo economiche e produttive ma soprattutto psicologiche e culturali per i coltivatori e gli abitanti più attenti della Puglia, luogo in cui gli ulivi secolari contano esemplari di oltre 2000 anni.

La diagnosi che viene effettuata è l'ormai nota Xylella, batterio proveniente molto probabilmente dal Costa Rica. Non essendo nativa dell’Europa, i protocolli la classificano come un patogeno da quarantena. La pandemia non riguarda solo il mondo degli ulivi: l’esportazione delle barbatelle da vigna viene subito proibita in via precauzionale, per esempio. La Regione emette comunicati spesso poco cauti che diffondono allarmismo e anche i report che arrivano all'UE sono parziali, portando a reazioni quali il blocco delle importazioni di alcuni prodotti pugliesi da estati membri come la Francia.

Non è sicuro (anzi, al momento secondo i ricercatori e gli agronomi locali impegnai nella difesa degli ulivi è del tutto improbabile) che la xylella sia la sola causa della malattia, che di fatto è stata definita complesso. Se si considera che come concausa viene segnalato l'impoverimento dell'humus del suolo a seguito dell’eccessivo sfruttamento agronomico, si comprende ancora meglio perché i pugliesi la scelta eradicativa davvero non la riescono a giustificare.

Cercando sul web però saltano fuori moltissime soluzioni alternative all'eradicazione e pratiche curative che su piccola scala sono risultate soddisfacenti, il che lascia immaginare che su larga scala potrebbero comportare soluzioni e miglioramenti o la salvezza di moltissimi altri esemplari e probabilmente anche un'uscita meno drammatica da questa emergenza che, ricordiamolo, è sociale e non solo ambientale ed industriale.

Vediamo insieme 3 buone pratiche e soluzioni proposte.

1 - Nanovettori

Le Università di Bari, Foggia e Lecce, il CNR e il Centro di ricerca Basile Caramia di Bari stanno dando i primi risultati di uno studio che contempla la possibilità di utilizzare nanovettori contenenti ioni rameioni zincosolfato di rame, usati anche tradizionalmente nell’agricoltura per arrivare, attraverso i vasi xilematici a colpire selettivamente il batterio causa dell’infestazione.

2 - Mappatura di precisione

Una mappatura di precisione effettuata con le moderne tecnologie sarebbe stata anzitutto provvidenziale nel prevenire il diffondersi della malattia.
Ma è ancora possibile utilizzare le tecniche per la mappatura di precisione per salvare e risanare la situazione. I sistemi GPS e programmi come APS Menci consentono di avere sul proprio pc una mappa in 3D di una determinata area, anche molto vasta, con il rilevamento attraverso spettri fotogrammetrici delle aree con anomalie.
Attraverso gli spettri di colori diversi è anche possibile rilevare la portata e l'importanza dell'anomalia su ogni albero o pianta, inoltre, da un mese o da una settimana all'altra è possibile con un semplice "volo di drone" ripetere velocemente l’esperimento e rilevare i cambiamenti in periodi circoscritti per monitorare efficacemente e in maniera scientifica il livello di guarigione o scongiurato peggioramento di ogni pianta o piantagione.

 

3 - Curare con l'antica attenzione

Ha fatto il giro della rete la testimonianza (anche fotografica) di un coltivatore di Seclì (Le) il quale ha descritto a diverse redazioni come ha fatto a non fare ammalare i suoi ulivi, siti nella "zona rossa" della crisi e praticamente adiacenti ad un terreno in cui gli esemplari erano tutti infetti e verso il veloce essiccamento.
Ha iniziato con il decespugliare l’erba verde cresciuta con le piogge autunnali, proseguendo con il taglio dei succhioni che si erano formati sui rami interni dell’albero ed i polloni che stavano alla base del tronco, effettuando poi una potatura leggera sui rametti inutili che chiudevano all’interno.
Ha sfoltito la chioma eliminando il secco esistente e, ogni volta, prima di andar via dal terreno, bruciava lo scarto. La cura di ogni albero durava sette ore, procedendo così per diverse settimane. Al termine di queste operazioni il coltivatore di Seclì ha raccolto la cenere prodotta, spargendola lungo la linea circolare dell’ulivo. Ha proseguito per tutto l'inverno.

L'erba fresca sbriciolata e decespugliata è penetrata nel terreno ed è diventata concime contenente azoto, fosforo e potassio mentre la cenere si è trasformata in un ottimo fertilizzante in quanto ricca di potassio, fosforo, calcio, magnesio, ferro, rame e boro.

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